giovedì 12 aprile 2018

Una squadra dentro e fuori dal campo



«Lo speaker parlava da centrocampo. Alle mie spalle la coppa emanava un luccichio che faceva a gara con i flash delle macchine fotografiche. Ed è con sommo piacere che mi accingo alla premiazione, stava dicendo al microfono, signore e signori con 75 mete e 80 calci piazzati tutti realizzati, i vincitori del campionato di Rugby Under 12 sono… i ragazzi del Vallesecca Rugby Club.
Il nostro nome, ha detto il nostro nome, ecco la coppa ed ecco i miei compagni che mi abbracciano...sì insomma..mi prendono per il braccio, anzi, mi strattonano....e in sottofondo una voce. Non è quella dello speaker.
Francesca, Francesca, svegliati, sono quasi le otto, arriverai tardi a scuola. Era la mamma che mi tirava per un braccio per cercare di buttarmi giù dal letto. Altro che vincitori del campionato. Era un sogno. Un bellissimo sogno.»
Francesca da qualche giorno non faceva altro che pensare a quella partita, l’ultima, e a dove poterla disputare, visto che il campo quel sabato pomeriggio non sarebbe stato disponibile.
Chi l’avrebbe mai detto? La squadra under 12 del Vallesecca Rugby, un quartiere soffocato da alti e grigi palazzoni, alla periferia di una metropoli, era arrivata in finale. La squadra era composta da ragazzi del quartiere, qualcuno compagno di classe, tutti compagni di oratorio. Erano solo maschi, tranne lei, Francesca, una biondina con gli occhi verdi e il naso spruzzato di lentiggini.
Quattro anni prima, quando Francesca era tornata dal mare con sottobraccio la palla ovale, qualcuno l’aveva guardata un po’ perplesso, altri l’avevano presa in giro. Non era da tutti essere una femmina e voler giocare a rugby. «Sarai sempre sporca di fango e con il naso rotto!» le aveva detto Bea, reginetta di danza classica. Lei non aveva battuto ciglio. Con i suoi amici più fidati, Mattia Cervo e Gianluca Frassati, aveva cominciato a giocare a rugby nel campetto dell’oratorio, dietro la chiesa di San Michele. Don Tarcisio era contento di vedere che quel gruppetto, che trascorreva i pomeriggi a passarsi la palla,  continuava a crescere, giorno dopo giorno. Fino a che un giovane fresco fresco di laurea in Scienze Motorie un pomeriggio si era presentato al campetto chiedendo: «Avete bisogno di un allenatore?» Non avrebbero potuto trovare di meglio. Cristiano era giovane, entusiasta, sapeva dirigere una squadra di giovanissimi giocatori, ma soprattutto era riuscito a creare un gruppo affiatato. In una parola: una squadra. Dopo tre anni di campionati giocati e persi, era arrivata la loro occasione. Dopo aver battuto in semifinale il Brixia Rugby, avversario agguerrito e super favorito del campionato, ora non restava che giocarsi tutta la stagione nella finale contro la Calvina Sport.
Don Tarcisio però aveva allargato le braccia e scosso la testa: «Ragazzi niente da fare, sabato prossimo alla chiesa di San Michele si celebra un matrimonio, non posso darvi il campetto per giocare a Rugby». Dispiaciuto, era dispiaciuto, ma lui mai avrebbe immaginato che i ragazzi avrebbero potuto arrivare a giocarsi la finale e così qualche mese prima aveva fissato per quella data le nozze di Clara e Stefano, due giovani del posto che avevano allestito anche un piccolo rinfresco proprio nel campetto. La cerimonia si sarebbe celebrata alle 16.30, figurarsi se alla stessa ora poteva ritrovarsi con l’oratorio invaso da giovani rugbisti e gli spalti pieni di genitori.
Inutili tutti i tentativi di Francesca e dei suoi compagni di squadra. Don Tarcisio era stato perentorio: «Ragazzi la partita qui non si può giocare».
L’allenatore li aveva convocati: «Ragazzi, il rugby ci ha insegnato il rispetto, la disciplina e la capacità di soffrire. Questo sport allena alla vita e non possiamo rinunciare senza lottare!».
Mattia, riccioli neri e occhi vispi, aveva buttato lì una soluzione: «Chiediamo agli avversari di ospitarci». La possibilità però non convinceva nessuno. «Così facendo ci sentiremmo da subito in inferiorità», aveva detto Leonardo, e tutti erano stati d’accordo.
Non restava che una chance: chiedere a quel taccagno di “Voldemort” di poter utilizzare il campo del suo centro sportivo “Exclusive” che, come recitava il volantino, era “un club con approccio al benessere olistico, completo di Spa e green  per il relax”. Nessuno aveva mai osato calpestare l’erba del suo green con scarpe da calcio e men che meno da rugby. Nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di chiederglielo, se non in una situazione di emergenza assoluta. «E questa è emergenza assoluta», avevano detto Francesca e Gianluca. Bisognava farsi coraggio e andarglielo a chiedere. Il soprannome di Voldemort gli era stato dato dai ragazzi del quartiere che i film di Harry Potter se li erano visti tutti. Il signor Franco De’ Lanfranchi (questo era il suo vero nome) era un uomo solitario che come Voldemort amava vestire di nero e che, come lui, aveva uno sguardo capace di trafiggerti. Anni fa aveva ereditato un grande terreno alla periferia della città e lì aveva deciso di investire in un centro sportivo: piscine, campi da tennis, zone relax e una distesa immensa di verde. Un centro esclusivo, come recitava il nome, frequentato dalla ricca borghesia cittadina.
Quando Francesca e tutti i ragazzi della Vallesecca Rugby si erano presentati alla reception chiedendo di poter conferire con il signor de’ Lanfranchi, le segretarie si erano subito messe in allarme. Eppure Voldemort si era presentato senza farli attendere neppure troppo: dolcevita nero, pantaloni neri, caschetto nero. Alla richiesta di poter usufruire del campo per il pomeriggio di sabato aveva risposto con un sorrisino lugubre: «Ragazzi, ragazzi il sabato qua costa parecchio. Siete sicuri di riuscire a pagare 1.500 euro?». «Millecinquecentoeuro????? » esclamano in coro. Ma era una cifra da far paura. Nessun mercatino di giochi e libri usati avrebbe potuto fruttare così tanto. Eppure una soluzione c’era.
«Ragazzi dobbiamo dire a Voldemort che siamo disposti a lavorare per il suo centro nei prossimi mesi estivi,» spiegava Francesca ai suoi compagni, « adesso la scuola sta per finire. Faremo i turni, sistemeremo il giardino, terremo in ordine la piscina». «Io posso anche mettermi al bar a vendere gelati» diceva Alessio. «Io invece posso rastrellare il prato e fare dei piccoli lavori di giardinaggio», continuava Leonardo. Ognuno avrebbe avuto un ruolo. Come nella squadra.
Non c’era voluto molto a convincere Voldemort. Lui apprezzava la gente capace di darsi da fare. In mezzo a tutti quei prati non era stato difficile allestire un campo da rugby. Ed ecco il giorno tanto atteso. Sabato pomeriggio: Vallesecca contro Calvina Sport. La partita inizia, ma sin dalle prime battute è dominata dagli ospiti che vanno in meta due volte nei primi 15 minuti. «Ragazzi, se dobbiamo lavorare tutta estate, facciamolo almeno per qualcosa per cui ne sia valsa la pena», incita Francesca. Ed è un attimo. La palla sembra stregata tra le loro mani, che una dopo l’altra mettono a segno quattro mete consecutive. Per la prima volta una squadra di quartiere vince l’ambito titolo di campione under 12 Rugby.  L’allenatore esulta. In campo c’è anche don Tarcisio che, appena finito di celebrare il matrimonio, è corso a vedere i suoi ragazzi. Ci sono mamme e papà entusiasti ed emozionati per una vittoria così sofferta e meritata. E, difficile a credersi, c’è anche Franco De’ Lanfranchi. «Ragazzi, allora come d’accordo questa estate vi aspetto  nel mio club», dice alla squadra, «ma solo perchè vi possiate allenare. Questo prato è così grande che un campo da rugby ci sta proprio bene. E mi raccomando usate sempre la vostra arma vincente: Il gioco di squadra dentro e fuori dal campo».
Il Vallesecca ha vinto la finale di campionato! L’ha vinta, anche se non aveva un proprio campo su cui giocare. L’ha vinta perchè ha giocato insieme e con passione, anche se in alcuni momenti è stato difficile continuare. Perchè, non solo in una squadra ma anche nella vita, bisogna essere capaci di affrontare i momenti difficili con le persone a cui vogliamo più bene.
Scuola media "Elisa Sala" classe 2^D.

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